Il 10 giugno 1940 l’Italia entrava in guerra contro la Francia dopo che il 1° settembre del 1939 la Germania di Hitler aveva invaso la Polonia. L’Italia, che tre mesi prima (22 maggio, a Berlino) aveva firmato il “patto d’acciaio” con i Tedeschi, impreparata a scendere in campo, aveva dato un appoggio “morale” (?) a Hitler, dichiarando la “non belligeranza”. Nei nove mesi successivi vi furono tentativi diplomatici e pressioni da più parti per evitare l’invasione dei soldati del Terzo Reich nel resto dell’Europa occidentale.
Si sa come andò a finire: con la tattica del Blitzkrieg le forze armate germaniche travolsero la Danimarca (9 aprile 1940), l’Olanda (10-17 maggio), il Lussemburgo (10 maggio), il Belgio (10-28 maggio) e cominciarono l’attacco alla Francia. La cui liquidazione, secondo le previsioni dei generali italiani, sarebbe potuta avvenire entro il mese di giugno. Poi sarebbe stata la volta dell’Inghilterra. La guerra divenne mondiale e seminò devastazione e lutti (54 milioni di morti) nell’arco di cinque anni. Da più di tre mesi la Russia ha scatenato una guerra di occupazione in Ucraina e i tentativi di aprire un tavolo negoziale sono falliti prima ancora di cominciare. In questo contestato si inserisce l’escalation, solo verbale si spera, dei sodali di Putin contro l’Europa.
L’editoriale di Renzo Fracalossi:
Ogni Hitler ha il suo Streicher, anche se “in sedicesimi” e così, il fido astro calante Medvedev si esibisce, da qualche tempo, in uno show di odio mediatico, che egli, nell’ultima sua dichiarazione, ha promesso di trasformare in distruzione materiale degli “imbecilli europei ed americani”, esattamente come fece lo scadente direttore del foglio pornopolitico “Der Stürmer” nella Franconia di ottant’anni fa, con la componente ebraica del vecchio continente.
Mentre il camerata del fallito putsch della birreria, al quale il führer perdonava tutto, concentrava l’attenzione contro il mostro giudaico, affermando che “gli ebrei vogliono la distruzione della Germania e […] anche se il mondo è pieno di diavoli, alla fine avremo successo”, l’ex presidente russo che qualche sfumatura di liberalità l’aveva pur lasciata intuire, orienta adesso la sua narrazione contro il mostro occidentale, affermando che “io li odio: Sono bastardi e degenerati. Vogliono la morte della Russia e finché sarò vivo, farò di tutto perché loro spariscano”.
Si tratta di una frase che rischia di trasformare l’intera “operazione militare speciale” in una sorta di battaglia finale del bene – qui rappresentato dalla santa madre Russia e dalla sua coreografia di autocrati, di patriarchi arricchiti, di ex spie sovietiche, di “penne del regime” e di ottusi strateghi – contro il male, incarnato dall’occidente depravato, debosciato e prigioniero delle più varie lobbies: da quelle ebraiche a quelle omosessuali e via elencando. E a questo proposito forse qualche riflessione sulla fuga da Mosca del rabbino capo, che non ha voluto piegarsi alle imposizioni del potere e della sua “disinformatija”, potrebbe aiutare a rivelare ulteriormente la natura dittatoriale dell’attuale “governance” russa e smentire anche tutti i troppi putiniani nostrani, più o meno mascherati da vessilliferi della pace, in nome della quale anche “l’imbianchino” procedette con l’annessione dei Sudeti.
Ma torniamo al “falco” Medvedev, già “colomba” e adesso “piccione” viaggiatore” per conto del suo “mastera” (padrone). Non si tratta forse più di mera propaganda, bensì del tentativo di generalizzare un conflitto, per altro privo di ogni comprensibile senso, anche spingendo le esasperazioni verso le più estreme conseguenze. D’altronde, Medvedev, come allora Streicher, non scopre nulla di nuovo.
Ad odiare europei ed americani di ogni colore, fede e cultura ci ha già pensato, nel più recente passato ed ancor oggi, la follia di Osama Bin Laden e dei suoi terroristi; quella degli assassini del Bataclan o quella di altre figure minori, ma non per questo meno pericolose: da qualche dittatorello sudamericano ai neonazisti, suprematisti e complottisti che hanno assalito il Congresso statunitense, per finire con coloro che si ostinano a ritenere di su di un pianeta piatto e sentono già nell’aria lo scalpiccio dei cavalieri dell’ Apocalisse.
Eppure la Russia, almeno fino alla catena degli Urali, è sicuramente Europa. La sua letteratura, la sua musica, le sue arti ed il suo sentire sono componente stessa dell’identità europea.
Se alla corte di Caterina la Grande si parlava francese, mentre gli architetti italiani rendevano San Pietroburgo la “perla del Baltico” e se Gogol irrideva con il suo “Ispettore generale” la macchinosità burocratica che stava mutando ovunque in Europa il profilo degli Stati nazionali, Dostojevskij anticipava l’orrore dell’Arcipelago Gulag con le sue “Memorie dal sottosuolo” ed i versi di Majakovskij diventavano essenza straordinaria del migliore futurismo. Tutto questo parlava allora come adesso non solo della, seppur talora claudicante, rincorsa russa alla modernità europea ed occidentale, ma di una universalità che nessun confine può contenere.
È quella Russia, colta e profondamente legata all’evoluzione occidentale, che ci ha regalato alcune pagine fra le più preziose dell’intera storia umana ed ha contribuito allo sviluppo irrinunciabile e condiviso di tutti noi.
Adesso tutto questo viene improvvisamente cancellato dalle farneticazioni di un personaggio, tutto sommato nemmeno di primo piano, che si riscopre odiatore di professione e che sta facendo sua la lezione di Goebbels: “La verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato”.
Mentire sapendo e volendo mentire è una tecnica propagandistica anch’essa non nuova, ma che funziona, come già avvenne con la lordura delle pagine di “Der Stürmer” o con i discorsi del Ministro della Propaganda che il 18 febbraio 1943 al Berliner Sportpalast proclamava: “Che lo slogan sia: ora popolo sorgi, tempesta scatenati!”. Gli esiti di quella tempesta sono ancora vivi nella nostra memoria e sono costati quasi sessanta milioni di morti.
Dietro la tronfia arroganza e le fanfaronate di Medvedev, che qualche imbarazzo devono pur averlo creato al Cremlino, forse però si cela una sorta di ulteriore involuzione autoritaria del freddo potere di Putin, sprofondato sempre più nella sua chiusa dimensione autocratica ed ormai, probabilmente, addirittura incapace di cogliere la portata complessiva del meccanismo che egli stesso ha innescato. Solo lui e la Russia contro larga parte di un mondo percepito come ostile. Solo lui e la Russia, quando ormai quasi tutti i ponti alle spalle paiono essere stati bruciati irrimediabilmente. Solo lui e la Russia per costruire una sorta di indefinito “polo alternativo” all’occidente. Solo lui e la Russia, dalla quale le parole d’odio di Medvedev ci allontanano sempre più, travolgendo ogni ragione.
Ogni Hitler ha il suo Streicher, ma i risultati che quest’ultimo produce variano con il variare della storia, anche se costituiscono comunque un danno irreparabile all’idea stessa di pacifica convivenza e di reciproca tolleranza.Ci vorranno anni per ritornare, se ritorneremo, a rileggere Pushkin senza intravvedere, fra le righe, l’impassibile volto del moderno czar o senza sentire il suono delle pochezze del suo improbabile Streicher, ma soprattutto senza la difficoltà di ricucire un dialogo che dev’essere scambio e reciproco arricchimento. A questo serve la cultura: nell’odiata Europa occidentale, come nella venerata Russia profonda, per ritrovare quel sogno che si chiama “mir” – “pace”.
1 commento
Ben detto signor Ghezzi, concordo con la lode all’articolo anche se mi rimane un po’ di amaro in bocca al pensiero che a Fugatti e soprattutto ai suoi elettori non gliene importa nulla. Ma mi addolora ancora di più constatare che in questa come in altre occasioni la “democratica indignazione” come la chiama Lei, non venga rappresentata in Consiglio Provinciale da nessuna forza politica della cosiddetta opposizione, a cominciare dal PD ma anche da Futura che Lei ha fondato e troppo presto (se mi consente) abbandonato al suo irrilevante destino.
Ps: lo dico da elettore (deluso) di Futura.