“Eravamo giovani e ci hanno sfruttate in tutti i modi”. Un libro dà voce alle donne che coltivarono a lungo il tabacco. Il volume si intitola “Vite di tabacco. Coltivazione e lavorazione del tabacco in Vallagarina fra XVIII e XXI secolo”. Partner del progetto sono la Biblioteca Civica di Rovereto, la Fondazione CARITRO, l’Associazione “Un Borgo e il suo fiume” e il Comune di Rovereto. Il primo di quattro tomi è stato presentato nei giorni scorsi.
Libro prezioso. Preziosissimo, non solo perché colma una lacuna: un tassello di storia economica di Rovereto e della Vallagarina che mancava, ma perché ritroviamo la voce – voce diretta e senza filtri – delle tante donne che lavoravano il tabacco. Povere donne, senza diritto alcuno e la cui parola torna prepotentemente a ricordare una vita di sacrifici e rinunce. Il merito va al “Laboratorio di storia”, di Rovereto, così prezioso per la memoria della nostra terra.
Nel 2019 il Laboratorio ha avviato un progetto di ricerca sui due settori economici che per almeno due secoli (XIX e XX) hanno segnato l’economia della Vallagarina: quello della coltivazione e macerazione del tabacco (macere) e quello della sua lavorazione (Manifattura Tabacchi). Il progetto prevede la realizzazione di un’opera in più volumi: il primo, dedicato alle màsere raccontate attraverso l’immagine foto-cinematografica e la memorialistica, è stato terminato nel 2021. Seguirà un secondo volume di saggi. Infine, altri due volumi, saranno dedicati agli studi sulla Manifattura Tabacchi.
Qui parliamo del primo volume “Vite di tabacco”. Scrivono i ricercatori del Laboratorio di storia di Rovereto: “Nel 1977 il tabacco fece la sua comparsa nei Corsi statali sperimentali per lavoratori (150 ore) di Rovereto.” Da quella esperienza ne sortirono due storie: una della Manifattura, l’altra delle màsere. Poi le cose cambiarono, la Manifattura cessò l’attività (2008) e “della storia di quel fantasmagorico “genere di monopolio”, e di coloro che lo produssero vivendoci, nessuno si diede più cura.” Salvo che le due storie (con molte interviste e fotografie raccolte nel corso della ricerca) rimasero custodite per passare (1989) in eredità al Laboratorio. Al lavoro di ricerca ha contribuito in modo importante anche l’archivio della Biblioteca civica di Rovereto. Adesso è arrivato il tempo per un approfondimento storico di un’economia che ha segnato la storia locale tra Otto e Novecento.
Determinante per la ricerca storica fu l’esperienza delle “150 ore” (erano i corsi per lavoratori che intendevano ottenere il diploma di terza media). Da quel percorso nacquero le molte e belle interviste a uomini e donne che avevano lavorato nelle macere. Le loro voci (e le immagini) tratteggiano uno spaccato economico e sociale della Vallagarina di assoluto interesse.
Duro, durissimo il lavoro per le donne. Racconta Ester Gazzini ex tabacchina di Mori: “Ho cominciato nel 1935 ad andare in màsera, a Chizzola, dai Cipriani; poi sono andata a servizio a Milano e nel ’56, dopo la morte di mio marito, ho ripreso ad andare ai tabacchi. Era dura allora: i padroni sapevano di essere padroni, comandavano…. Ester ricorda che non si perdeva tempo nemmeno per mangiare, “si faceva andar la bocca mentre si lavorava”. E poi: si lavorava a cottimo, ci pesavano il tabacco e quel tanto dovevamo finirlo e poi sulla porta c’era scritto chi rendeva e chi non rendeva… e nessuna si ribellava perché la disoccupazione era tanta.”
Elda Calliari cominciò a lavorare in màsera a 15 anni, nel 1921. Racconta una storia di giovani donne non pagate: “Sapete che quando venivano quelli dell’Ispettorato ci mandavano una nel cesso, l’altra in un volt? Madonna! È sempre stato così. I contributi non li pagavano mai. (…) Tutti i maseradori ci hanno sfruttate… perché allora non c’erano lavori; era l’unico lavoro che c’era. Occupavano visentine(vicentine, perché con otto màsere non c’erano abbastanza donne in loco, ndr.) che venivano giù dalla montagna, poverette, e quelle che venivano a piedi da Castione…”.
Nelle màsere lavorano soprattutto le donne, perchè? Spiega Elda: “Non prendevano uomini, perché li dovevano pagare di più! Eravamo giovani e ci hanno sfruttate in tutte le maniere. Allora non c’erano sindacati, sono venuti più tardi e se ti arrischiavi a dire qualcosa ti mandavano a casa; potevi anche morire di fame per loro”. Sfiorivano le giovani lavoranti e intanto fioriva il contrabbando. Racconta Eustasio Tranquillini, da Mori, coltivatore di tabacco: “Tutti i contadini il tabacco se lo mettevano via per loro uso. Ne avevano due scatole: una di quello dell’appalto e una di quello di contrabbando, perché c’era la Finanza, soprattutto nelle fiere, quando venivano giù tutti quelli della montagna (…) i finanzieri parlavano il nostro dialetto: “Me daresselo ‘na presa?” e se qualcuno non si accorgeva, lo arrestavano e gli facevano una perquisizione in casa e se gli trovavano solo una foglia, era la sua rovina”.
La coltivazione del tabacco che per lungo tempo rappresentò l’unica, importante, coltura industriale agraria della Vallagarina andò decrescendo dagli anni Sessanta del XX secolo. Molte le cause: l’insediamento di nuovi opifici e la “muffa blu” (la Peronospora tabacina). Oltre che da un apparato fotografico d’epoca, il libro “Vite di tabacco” è corredato da un documentario, girato negli anni Sessanta dal fotografo Giovita Grigolli, da Mori, col titolo “Foglie Vellutate”.