Se non fosse davvero accaduto, sembrerebbe una spy story di John Le Carré questo testo scritto da Renzo Fracalossi. Una vicenda tragica quanto avvincente, sgusciata dal torbido mondo dei nazisti in fuga (anche attraverso il Trentino), del Sudamerica, con il guerrigliero Che Guevara assassinato in Bolivia il 9 ottobre 1967 e un console boliviano ucciso in Germania.
Esattamente cinquant’anni fa, nell’aprile del 1971, si consuma la vicenda di Monika Ertl e di Roberto Quintanilla Pereira, nomi che oggi ai più dicono forse poco, ma che rappresentano invece parte consistente degli orrori del “secolo breve”.
Monika Ertl nasce a Monaco di Baviera nel 1937 e suo padre, Hans, è uno dei principali collaboratori di Leni Riefensthal in qualità di direttore della fotografia del film “Olimpya”, girato appunto in occasione dei Giochi olimpici di Berlino del 1936. Ma non solo. Hans Ertl è anche un noto alpinista, uno studioso di tecniche sottomarine, un esploratore, uno scrittore, un cineasta e, infine, un agricoltore, ma è soprattutto uno dei ritrattisti di Hitler, uno degli uomini del suo “entourage”, un fotografo di guerra che documenta anche le imprese di Erwin Rommel in Africa.
Proprio per tale ragione, alla fine della guerra è ricercato dagli Alleati ed è costretto a vivere un periodo in Germania con documenti falsi. Poi, attraverso la cosiddetta “Ratlinie” (“La Via dei Topi” n.d.r.) che passa anche per l’Alto Adige ed il Trentino, fugge in Sud America, dove giunge con tutta la famiglia il 3 marzo 1950.
Hans Ertl forse non è un fanatico nazista, ma esibisce sempre con grande orgolio la giacca della divisa della Wehrmacht disegnata da Hugo Boss. Dapprima soggiorna nell’arcipelago australe di Juan Fernandez, dove realizza un documentario naturalistico, per poi trasferirsi in una regione di confine fra la Bolivia ed il Brasile e lì acquista un’azienda agricola di 3.000 ettari a Chiquitania, che dista cento chilometri da Santa Cruz, dedicandosi allo studio ed alla documentazione della natura amazzonica, mentre i suoi figli crescono e sua moglie Regina organizza le attività dell’azienda.
La maggiore dei figli di Hans si chiama Monika ed ha 15 anni quando inizia l’avventura sudamericana del padre. Il legame fra i due è molto intenso e da lui apprende l’arte del documentarista per lavorare, qualche anno dopo, con il regista boliviano Jorge Ruiz e diventare, in breve, la prima donna documentarista nella storia del cinema.
Monika è cresciuta in Germania fra i vertici del nazismo ed ora si ritrova nuovamente immersa in quel mondo oscuro, fuggito in Sud America e dove spicca, accanto alla figura di suo padre, quella dello “zio Klaus”, come affettuosamente lo chiama Monika e che risulta essere il signor Klaus Altmann, un impresario tedesco che gestisce misteriosi affari in Sud America.
In realtà, lo “zio Klaus” altri non è se non l’“SS- Hauptsturmführer” Klaus Barbie, noto come il “boia di Lione” dove, dal 1942 al 1944 comanda la Gestapo, la SI.PO. (Polizia di Sicurezza n.d.r.) e l’SD (Servizi di Informazione delle SS n.d.r). Ricercato da un lato dagli Alleati come criminale di guerra, dall’altro viene arruolato nei Servizi di Informazione statunitensi (Counter Intelligence Corps C.I.C. n.d.r) per contribuire alla lotta contro il comunismo. Nel 1949 però la struttura spionistica per la quale Barbie lavora viene smantellata, mentre i francesi reclamano il criminale per poterlo processare. Gli americani fingono di non sapere dove sia, mentre lui lavora nuovamente per loro, alle dipendenze del 66.mo Distaccamento dell’U.S. Army’s Intelligence Arm.
Il cerchio però si sta stringendo e così Barbie, diventato nel frattempo Altmann, fugge nel 1951, attraverso la “Ratlinie”, in Sud America, dove trova lavoro prima in Argentina e poi, nel 1955, a La Paz, in Bolivia, grazie anche ai buoni uffici di Hans Ertl. Nel volgere di poco tempo ed in virtù delle presentazioni americane, Klaus Altmann collabora strettamente con i governi dittatoriali sudamericani, diventando consigliere dei servizi segreti boliviani e partecipando probabilmente anche alla cattura di Ernesto Guevara, detto “Che” nel 1967.
Ma torniamo a Monika. Diventata ormai una giovane donna molto affascinante si sposa con un immigrato tedesco e si trasferisce a vivere nella zona delle miniere di rame nel nord del Cile, dove entra in contatto con l’indigenza e la miseria più totale delle popolazioni latino-americane e con le teorie marxiste legate alla liberazione dal giogo economico nordamericano.
Il suo matrimonio, dopo dieci anni, si logora e fallisce definitivamente. Lei ritorna libera, occupandosi ancor più di politica ed entrando in netto contrasto anche con il padre. Fonda una casa per orfani a La Paz, ora convertita in ospedale e approfondisce il pensiero rivoluzionario del “Che”, restandone folgorata “come fosse un dio”, ricorda la sorella Beatriz. Hans Ertl non sopporta e la caccia da casa. Lei si avvicina sempre più ai fermenti rivoluzionari e rompe definitivamente con le sue radici familiari, entrando nelle milizie che combattono la guerriglia e lottano contro le enormi diseguaglianze sociali dell’America latina.
Diventa così la guerrigliera “Imilla”, militando nelle file dell’“Ejèrcito de Liberaciòn Nacional” (E.L.N. n.d.r.) agli ordini di Ernesto “Che” Guevara, durante la tragica spedizione in Bolivia. In quattro anni di vita vissuta sempre ai limiti, scrive pochissime lettere al padre, solo per annunciare di stare bene.
Quando “Che” Guevara viene ucciso nella foresta boliviana, un colonnello delle forze di sicurezza, Roberto Quintanilla Pereira, ordina di amputare le mani al cadavere del rivoluzionario come atto di sommo spregio. Si tratta di un gesto che lo fa salire ai vertici dei servizi segreti boliviani, ma lo fa anche diventare l’uomo più odiato dalla sinistra politica di tutto il mondo. Per Monika quel gesto di profanazione decreta l’impegno a vendicare il “Che”. Da quel momento in poi non esiste altro obiettivo e così si prepara molto accuratamente al compito che ella stessa si è attribuita.
Il 1°aprile 1971 alle ore 09.40, una bellissima donna dai profondi occhi azzurri, attende nell’anticamera dell’ufficio del Console di Bolivia ad Amburgo-Harvestehude in Heilwigsstrasse 125. La donna osserva i quadri alle pareti, mentre compare il Console. Indossa un abito blu, una camicia immacolata, al polso gemelli con lo stemma della Bolivia ed una cravatta blu scuro di lana a completare l’eleganza di Roberto Quintanilla Pereira. Il Console è colpito dalla bellezza di quella donna che dice di essere australiana e che richiede un visto per una comitiva turistica che vuole visitare la Bolivia.
Quintanilla Pereira, proprio per l’odio universale che si è tirato addosso con il gesto profanatore del cadavere del “Che” è destinato all’attività diplomatica ad undicimila chilometri dalla sua patria, per scongiurare possibili attentati alla sua vita.
I due entrano nell’ufficio del Console che si siede alla scrivania. La donna lo guarda intensamente e senza dire nulla estrae una pistola Colt Cobra 38 Special e spara tre volte consecutive. Non c’è lotta, né resistenza. Quintanilla Pereira muore sul colpo. La donna esce lasciando un foglio con la frase: “Victoria o muerte. E.L.N.” e sparisce. Quella donna è Monika e la pistola che ha usato è registrata a nome di un italiano: Giangiacomo Feltrinelli.
Da quella mattinata del 1°aprile 1971, Monika Ertl alias Imilla diventa una delle persone più ricercate al mondo. Lei però ha pianificato anche la sua fuga. Riesce avventurosamente a rientrare in Bolivia, sfuggendo a polizia e servizi segreti, grazie anche all’aiuto di un amico francese, Règis Debray, un intellettuale con il quale Monika progetta di rapire Klaus Barbie, lo “zio Klaus” e di consegnarlo alla giustizia.
A Monika, però, sfugge un elemento prezioso. Barbie è un uomo dei servizi segreti boliviani; ha agganci con i servizi di sicurezza di molti Paesi sudamericani e con la C.I.A. ed è sempre stato protetto da una rete di amicizie e complicità radicate nell’estrema destra del reducismo nazista e nei circoli neonazisti dell’America latina. Si tratta di nemici potenti e sono proprio loro a tendere una trappola a Monika, facendola cadere in una imboscata a La Paz nel 1973.
Il cadavere di Monika non viene mai ritrovato, anche se nel cimitero tedesco di La Paz c’è una lapide con inciso il suo nome, ma le sue spoglie giacciono in una fossa comune, senza nessun segno di distinzione.Invano suo padre chiede la restituzione almeno della salma. Gli viene opposto solo un muro di silenzio, finché Hans Ertl muore nell’anno 2000, all’età di 92 anni. Lo seppelliscono tra due pini e sotto la terra che egli stesso ha fatto venire dalla Baviera e sotto quel tumulo giace anche la straordinaria e tragica vicenda di Monika Ertl e del suo sogno rivoluzionario ed egualitario.