La Fersina (“la”, perché i nomi dei fiumi che finiscono per “a” un tempo erano considerati al femminile), che nasce dal lago di Erdemolo (2005 m), in alta val dei Mocheni, nella parte terminale dei suoi trenta chilometri di percorso sta diventando una foresta. In particolare, dalla forra di ponte Cornicchio, alla “Busa” (sotto la collina di Mesiano), sino all’immissione nel corso dell’Adige, nell’alveo della Fersina sono cresciuti alberi e cespugli, quasi un inno alla biodiversità. Da quasi due secoli il fiume attraversa la città di Trento incassato fra muraglioni di pietra, fabbricati per frenare le ricorrenti esondazioni nel tratto di campagna a sud delle mura di piazza Fiera. Sulla storia di quel tratto di città ci soccorre un frammento della voluminosa ricerca di Mauro Lando (“Trento nuova, le sue strade, le sue storie”) data alle stampe con Curcu&Genovese nel 2018.
Viale Rovereto – Si tratta di una delle strade più belle della città moderna: gli ippocastani e i giardinetti che la accompagnano sul lato sud, proprio sul ciglio dell’argine del torrente Fersina, rendono gradevole il passeggio e la sosta. Sull’altro lato sorgono ancora Ville “originarie”, qualche edificio e qualche condominio che, nonostante la mole, non “soffoca” la via.
Ad argini completati ed a terrapieni consolidati, la strada nacque nel 1859 come “Nuovo passeggio al Fersina” diventando un’attrazione ed un richiamo tenuto conto che a quel tempo la zona era piuttosto lontana dalla città ancora largamente compresa nelle mura (piazza di Fiera). Arrivò poi nel 1887 l’alberatura e nel 1913 la denominazione di viale Rovereto per tutto il tratto fino alla Busa. È stata la costruzione degli argini del Fersina, pressochè verticali e in pietra con il terrapieno verso la città, il vero e proprio atto fondativo di viale Rovereto. Analogamente, ma in tempi successivi, sono nate le altre strade che ora costeggiano il corso d’acqua, vale a dire viale Bolognini e, oltre il ponte dei Cavalleggeri, via Marsala e via Cauriol con il suo adiacente giardino verso lungo Fersina. Fondativo perché, per secoli, il problema della difesa dagli allagamenti del Fersina ha angustiato prima la città e poi i suoi territori meridionali. Fu nel 16° secolo che, dopo precedenti spostamenti, il torrente venne incanalato all’incirca lungo il percorso attuale, salvando così Trento dalle sue piene. Da allora le tracimazioni investirono aree lontane dal centro abitato, ma la progressiva bonifica di quei terreni, un tempo periferici, li ha trasformati in aree agricole sempre più utilmente coltivate. Il che rese sempre più necessario impedire che le acque del Fersina li invadessero periodicamente coprendoli di ghiaia e sassi. Il riferimento è alla campagne che esistevano nelle aree della Bolghera (rione Bolghera), della “Mantovana” (rione Santa Chiara) e dei “Muredei”-“Muredelli” (rione San Giuseppe) nell’attuale area di via Pio X e Clarina.
Le varie fasi dell’arginatura del Fersina, con la messa in sicurezza delle zone vicine, è descritta in una pubblicazione stampata nel 1850 nella tipografia Monauni di Trento. È intitolata: “Il Fersina” e costituisce la “Relazione della delegazione fersinale circa l’origine, gli effetti ed il compimento delle arginazioni consorziali”. Dalla lettura emerge che, dopo una terribile alluvione nel 1812, il Consorzio dei proprietari dei terreni fece elaborare un progetto per frenare le esondazioni. Fu così deciso di erigere “palificate di legno”, ossia dei tavolati di assi fissati con chiodi su tronchi conficcati nel terreno. Tali “palificate” furono collocate lungo il letto del Fersina dalla Busa fino alla foce nell’Adige allora posta nella zona della Clarina.
Tale soluzione si rivelò tutt’altro che risolutiva, tanto che le inondazioni continuarono travolgendo le palizzate. Il Consorzio si divise poi in due enti, uno per la sponda destra e l’altro per la sponda sinistra al fine di curare interessi diversi. Fu così che sulla base di un progetto dell’ingegner Giuseppe Ducati, il Consorzio della parte destra, più dotato di fondi, decise nel 1826 di abbandonare le “ palificate” e di procedere alla costruzione di un argine di pietra ritenuto più sicuro.
In questo modo “il Consorzio della destra sponda, che fino al 1838 ebbe compiuta la sua arginazione in pietra e si emancipò […] dal legno e dai chiodi, poté convincersi […] quanto grande ed opportuna fosse la sua determinazione addottata (sic) nel 1826 e qual beneficio abbia apportato ai suoi terreni”. Da quell’epoca, cioè dal 1826 in poi “quei terreni non soffersero alcuna rotta, non ebbero alcun danno o disastro”.
Il consorzio della sponda sinistra, essendosi costituito formalmente nel 1838, avviò in ritardo la costruzione degli argini in pietra e scelse la soluzione delle “muraglie rampanti”, ossia non verticali. A causa dei lavori non completati, i terreni della Bolghera e della Clarina (rione Clarina) dovettero però subire la rotta del Fersina del 1845. Va segnalato che le “muraglie rampanti” hanno tolto sull’argine sinistro parte di quello spazio che sulla sponda destra è servito a creare l’ampio marciapiede. La rettifica del corso dell’Adige con anche la sistemazione della foce del Fersina, avviata nel 1854, ha poi contribuito al miglioramento della situazione.
Tornando alle vicende di viale Rovereto, solo ad argini costruiti e consolidati con un terrapieno poteva essere tracciata la vera e propria strada che arrivò quindi nel 1859 con il “Nuovo passeggio al Fersina”.
(da “Trento nuova, le sue strade, le sue storie”, Curcu&Genovese, 2018)