Brandiscono l’ego per paura dell’ago. E se la pandemia non fosse una questione così seria, sarebbe da compatirli, poveri loro. La “belonefobia” (così si chiama il timore dell’iniezione) è un’ossessione che conduce a uno stato di ansia e di agitazione. Se poi all’ago è associata la preoccupazione indotta da chi vaneggia che dentro la siringa possa essere stato introdotto un alieno, il terrore è assicurato. Sta tutta qui la ragione irragionevole di una fetta di “no vax” che si salda, in questi giorni, al rifiuto delle pratiche che portano al “green pass”.
Se il vaccino è gratis anche il “green pass” lo deve essere, urlano nei cortei del sabato pomeriggio coloro che sparano parole grosse e non si vergognano a gridare “dittatura”. E perché mai, di grazia?
La vaccinazione è una misura di profilassi sanitaria che tutela la popolazione. Il “green pass” è un pezzo di carta che certifica la non presenza (momentanea) dell’infezione da Covid-19 nel corpo di colui che lo esibisce. Come dire: lo Stato ti regala una vettura, ma se tu non la vuoi e non puoi restare chiuso in casa perché devi andare a lavorare sei costretto a prenderne una a noleggio. La locazione, di solito, si paga.
Codesto, in realtà, è un effetto secondario della protesta che sta rallentando le attività nei porti e crea qualche disagio nei trasporti, nella logistica, nel mondo del lavoro in generale. Il vero problema è nella presunzione, nella rabbia, nella violenza non solo verbale, di una minoranza che vorrebbe imporre il proprio credo alla maggioranza del Paese. Nasce dalla delegittimazione degli organi dello Stato, dalla contestazione a prescindere di ogni decisione di chi è preposto alla salute pubblica. Un esercizio nel quale si cimentano da anni i campioni del populismo e dell’uno vale uno. E poiché da qualche parte, lungo lo stivale, c’è sempre un’urna aperta o in prossimità all’apertura, il clima da campagna elettorale non conosce tregua. Salvo poi trovare qualcuno, con una faccia di bronzo degna della commedia dell’arte, il quale va dal presidente del Consiglio ad invocare una mano per abbassare i toni, per “svelenire il clima”. Come se negli anni non avesse contribuito in prima persona e in modo “bestiale” ad avvelenare i pozzi del dibattito politico. Se la calunnia è un venticello, a volte (e le cronache recenti lo hanno dimostrato) può diventare un boomerang.
Per tornare al tema, dal 15 ottobre, con l’entrata in vigore della norma che impone (fino al 31 dicembre) il certificato verde per l’accesso al lavoro, folle di disperati cercano il “green pass”. Ad ogni costo, anche se molti lo vorrebbero gratis. E così, domenica 17, si sono viste lunghe code di no-vax o di “invaccinati” temporanei (perché prima o poi la vaccinazione diverrà obbligatoria), in lunga attesa fuori dalle farmacie. Quasi un assalto ai forni nella Milano della peste manzoniana. Nella notte di una pandemia che, grazie ai vaccini, sta scivolando in endemia, quell’immagine richiamava un assedio.
Certo, c’è qualcuno che ragionevolmente non si può vaccinare perché portatore di patologie o di fragilità che i medici (vaccinati) hanno certificato. È anche per loro che si dovrebbe dispiegare la solidarietà delle vaccinazioni in massa. Invece, chi vagheggia dittature delle “Big Pharma” o complotti “demo-pluto-giudaico- massonici” dovrebbe solo levarsi la camicia e sottoporsi all’iniezione. Magari, dopo aver preso appuntamento con un professionista della psichiatria. Ce ne sono, anche se hanno molto da fare. La legge 180 del 13 maggio 1978 ha chiuso i manicomi. E si vede.