A poche ore dall’annuncio della morte di Paolo Cavagnoli, l’architetto Pier Dal Rì, suo collega e “allievo” nell’amministrazione provinciale di Trento, ha scritto un ricordo d’addio al “maestro di umanità”.
Paolo Cavagnoli, non risponde più al mio telefono. Un altro numero prezioso da cancellare dalla rubrica telefonica ed archiviarne il suo ricordo fra le cose intime e preziose. Il mio ricordo è quello di un giovane funzionario provinciale che vedeva incarnato in lui il modello dell’uomo libero, capace, professionale ma umano, lontano ed allergico alle nefandezze burocratiche di cui molti si facevano portabandiera anche per coprire il loro vuoto, umano e culturale. Lui, il Paolo, al mattino all’ex Astoria, sede del suo servizio, spesso riceveva, senza formalismi o appuntamento, persone con problemi di ogni tipo. E, spesso, trovavo lì l’Arturo, a distribuire rose alle assistenti sociali, quelle rose che il buon de Boni gli donava, sapendo che ogni mattina faceva visita al suo “papà-tutore”, per le raccomandazioni quotidiane prima dell’avventura vinaria nei bar cittadini. Paolo,pur dirigente pubblico, era anche impegnato nel sociale; attivo nella politica, con una sua visione che non sempre si allineava alle posizioni dominanti anche se pur sempre dentro la galassia democristiana. Poi, quando il “Catòla”, come lo chiamava lui, ovvero Egidio Demarchi si avventurò nell’esperienza televisiva, Paolo ne venne rapito e ne curò le rubriche. Più tardi, con passione e bravura ne assunse la direzione ed io, che abitavo in zona, ho condiviso spesso, al banco del bar, progetti per far crescere una televisione in Trentino, dove il terreno era ostico e certamente difficile.
Incontrare il Paolo per quattro chiacchiere non era difficile. Il pranzo al “Giulia”, con la sua inseparabile moglie, era occasione per una formazione continua, una ricca e vivace scuola di formazione politica e sociale di cui gli sono grato. Non mi ha mai chiesto adesioni specifiche; ha sempre avuto rispetto per quanti si impegnavano come me, nei campi sociali, che fosse lo sport o il mondo degli invalidi per costruire palestre o eliminare barriere architettoniche; magari anche solo organizzatore di sagre paesane. Paolo aveva un grande rispetto per chi si sporcava le mani per gli altri. Mai gli ho detto che il suo agire, dentro il palazzo della Provincia, ha forgiato una classe dirigenziale che considerava il cittadino il vero azionista, bisognoso di soluzioni efficienti e veloci. Era quello il vero obbiettivo del nostro agire come funzionari della Provincia autonoma di Trento, da perseguire senza alcuna scusa o ostacolo. A volte si doveva rilevare come il politico, per privilegiare un sistema clientelare che si annidava alla base di un potere, voleva dirigenti più modesti e silenti, disattenti alle realtà sociali di cui Paolo era conoscitore profondo. Ciao Paolo, solo poco tempo fa hai aperto casa tua per un consiglio ad una mamma disperata che ti avevo segnalato. Grazie maestro, è bello non poterti incasellare in una categoria che, da sola, sarebbe sterile e inconcludente. Tu mi hai insegnato che si può essere dirigenti con equilibrio e saggezza; avere una visione politica, impegnarsi nel volontariato e nel sociale e non far mancare presenza e affetti a famigliari ed amici. Grazie Paolo, uso “iltrentinonuovo.it” per dirtelo, poiché, come sai, il mio giornale (Il Trentino) che come “erpi” mi ospitava ogni domenica e tu leggevi e commentavi ogni lunedì, è morto qualche mese prima di te. Ma il ricordo del tuo agire no, quello rimarrà. Con il solo rimpianto che sei stato unico!