Che cosa è la ricerca storica? È un’indagine sul passato la quale, attraverso l’uso delle fonti (documenti e testimonianze), ricostruisce, sedimentati dalle passioni e dai contrasti, gli avvenimenti e la vita di un determinato periodo. Accade, talvolta, che la storia sia piegata ad uso di parte e che un’opinione, ovvero una lettura opinabile di un accadimento, sia spacciata per verità storica. La riflessione, nel merito, di Renzo Fracalossi.
Ormai da tempo pare consolidarsi, almeno nel nostro Paese, una tendenza a prestare nuove attenzioni alla storia ed alla sua narrazione, anche in virtù della complicità di strumenti mediatici che possono contribuire a stimolare curiosità continue ed a facilitare ampie diffusioni, ma, al contempo, rischiano di ridurre le complessità ad uso dei soli ritmi televisivi.
Si tratta di un fenomeno che, ad una lettura non superficiale, palesa però anzitutto il bisogno della comunità di porre domande di senso circa le proprie radici, l’identità singola e collettiva e l’ancoraggio al tempo, anche di fronte al crescente spaesamento che la globalizzazione introduce nelle nostre vite e che si racconta in un magma indistinto di informazioni accavallate fra loro e che risucchiano le differenze dentro viscosità indefinite, dove tutto vale il suo contrario.
Proprio con l’intento di favorire elementi di risposta a simili domande, la divulgazione della storia acquista quindi una funzione rilevante, anche per contrastare quelle pericolose distorsioni della realtà che, in nome di uno stolto ossequio al “politically correct”, vorrebbero trasformare, ad esempio, Cristoforo Colombo in un bieco colonialista e razzista della peggior specie, anziché in quel visionario esploratore del mondo che provò ad andare “oltre le colonne d’Ercole”, in nome di una curiosità che è la vera leva del progresso.
Divulgare impone pertanto atti di grande chiarezza intellettuale e non può trasformarsi in amplificazioni degli slogan, delle ovvietà o delle invenzioni di qualche urlacchiante imbonitore massmediatico. Già il nostro quotidiano è affollato di meteore che sentenziano su ogni questione dello scibile umano, forti della loro più assoluta incompetenza e nessuno avverte quindi la necessità di ulteriori protagonisti del nulla, la cui invadenza contribuisce, non solo al diffondersi di qualsiasi incredibile sciocchezza, ma anche a generare ulteriori incertezze, paure e ansie.
È proprio questo però il terreno ideale dove, con sapienti azioni propagandistiche, rischiano di essere vivificati i mostri del passato, in nome di una “pacificazione” indotta dal tempo e dove tutto il carico degli orrori occorsi nei secoli viene ridimensionato ad uso del presente. Vittima e carnefice non possono essere messi sullo stesso piano: questo è il compito vero di una seria divulgazione storica e non quello di piegare la narrazione ai “desiderata” politici di turno.
Siamo rintronati da una sinfonia di affermazioni e del loro esatto contrario, in un frastuono che muta la melodia del sapere in una cacofonia di ignoranza e presunzione dove, ogni ciarlatano, in nome del “diritto all’informazione” si permette di contestare scienziati e studiosi che hanno speso l’esistenza ad approfondire, cercare e rivelare. Questo è l’esatto opposto della divulgazione e produce fermentazioni folli e irrazionali capaci, solo di rimescolare tutto in una continua, quanto inutile, discussione.Ecco allora chi sostiene che la terra è piatta, chi afferma che la pandemia è solo un’invenzione del potere e dei media, chi crede che sia in atto un enorme complotto universale di banche, multinazionali, giudei, massoni ed omosessuali per il dominio assoluto del mondo e via dicendo, in un trionfo di bestialità che, in tempi normali, richiederebbero solo cure psichiatriche approfondite. Ma non abitiamo tempi normali. Viviamo infatti nell’epoca della velocità e della dimenticanza; dell’urgenza e dell’infiacchimento; degli egoismi e dei pregiudizi. È per tali ragioni che la divulgazione di tutto ciò che è scienza vera e dimostrabile diventa essenziale antidoto culturale e stimolo a riscoprire il dovere della riflessione sulla “memoria giusta”, cioè quella capace di veicolare risultati e fallimenti; di non affidarsi solo al mito; di svelare il lato oscuro di ogni vicenda e di dire anche ciò che alla politica non piace. Questo dovrebbe essere il ruolo della storia e del suo essere tramandata, anziché quello di strumento utile alla manipolazione propagandistica, nella convinzione che, se non c’è verità assoluta nella storia, deve esserci almeno onestà, per non perderci in un ossessivo gioco senza fine di continua e disfunzionale riscrittura e rilettura di ciò che è stato e sarà.