Fu una battaglia che, a metà degli anni Settanta del secolo scorso, mobilitò un’intera valle, la Val Rendena. Tenne banco sulle pagine dei giornali per molti mesi con obiettivi che parevano pura utopia. La popolazione della val Rendena contro l’Agip mineraria, Davide contro Golia. Ma il gigante, vinta la partita avanti il Consiglio di Stato, si trovò la concessione revocata dal presidente della Provincia, l’avv. Flavio Mengoni.
“Se l’uranio c’è, resti dov’è”. “Meglio attivi oggi che radioattivi domani”, gridavano gli abitanti della val Rendena, scesi a Trento armati di cartelloni, decisi a bloccare le ricerche di materiale uranifero da parte di Agip mineraria nelle viscere del monte Tof, nel cuore della valle. La crisi del petrolio, lo strangolamento delle economie occidentali deciso dagli sceicchi arabi, a metà degli anni Settanta aveva rilanciato le ricerche di uranio anche sulle Alpi. Già erano in funzione due miniere nella bargamasca val Seriana. “Qui l’uranio si scava sul Serio”, titolava il settimanale “Vita Trentina” un reportage da Clusone dove “la morte col piccone” fu frescata dai Baschenis, al pari di Pinzolo, sulla cappella del cimitero. La cronistoria di quella battaglia a mani nude contro l’uranio nel “Dizionario dei fatti, dei personaggi e delle storie del Trentino” (Curcu&Genovese, 2011), di Mauro Lando.
Dopo i primi accertamenti, effettuati negli anni Cinquanta del secolo scorso, nelle montagne tra la valle Rendena e la val d’Algone e successivamente ampliati a seguito della crisi petrolifera del 1973, l’Agip riprese nel 1976 le ricerche di uranio in quei territori. Si era allora in un momento in cui la costruzione di centrali atomiche era ritenuta possibile ed auspicabile per cui l’uranio era diventato una materia prima indispensabile per quel tipo di investimenti. In quella fase lo scopo dell’Agip era di conoscere l’andamento e la formazione del sottosuolo nell’area della Rendena, condizione indispensabile per eventuali successivi accertamenti mirati. In concreto si voleva praticare dei sondaggi nelle rocce e così verificare se davvero vi era la presenza di uranio in quantità economicamente utile. Alla ricerca erano interessati tratti di territori montani dei Comuni di Bocenago, Ragoli, Spiazzo, Stenico, Bleggio inferiore, Massimeno e Montagne, tutti tra Rendena ed Algone, nel gruppo del Brenta. La ricerca, affidata ad una società dell’Agip, era concentrata in 14 piazzole in quota dove erano state collocate sonde capaci di perforare la roccia fino a raggiungere una profondità tra gli 800 ed i 1000 metri. I fori avevano un diametro iniziale di 12 centimetri e finale di 6 centimetri. Tutto questo era possibile perché l’amministrazione provinciale aveva a suo tempo rilasciato la concessione ad operare.
Lo stato della ricerca fu conosciuto nell’autunno del 1977 allorché (l’Adige, 1° novembre 1977) il direttore generale delle ricerche minerarie dell’Agip, dott. Manuel d’Agnolo, incontrò in Provincia a Trento il presidente della Giunta provinciale Giorgio Grigolli. Emerse che l’Agip aveva investito due miliardi e che contava di concludere le ricerche preliminari alla fine del 1978. Per ora, scrisse il giornale, “tali ricerche non rivestono problematiche di ordine territoriale e paesaggistico”. Di ben altro parere però era l’ambiente protezionista trentino, tanto che sull’Alto Adige del 16 marzo 1978 Italia Nostra uscì allo scoperto contro un’ipotizzata miniera di uranio in Rendena per i danni ambientali che avrebbe provocato, per le discariche di cui ci sarebbe stato bisogno e per contestare la scelta energetica nucleare. “Meglio attivi oggi che radioattivi domani”: questo lo slogan lanciato nel documento dell’associazione ambientalista, promotrice anche di un convegno sull’argomento. L’opposizione emerse anche in Rendena, tanto che nell’aprile 1978 il Consiglio comunale di Pinzolo (Alto Adige, 4 aprile 1978) votò all’unanimità contro l’apertura di miniere per la ricerca di uranio temendo problemi di “radioattività” e la creazione di ampie discariche di materiale. Gli altri Comuni della valle si schierarono poi con analoga presa di posizione.
Non tardò la replica dell’Agip che (Alto Adige, 12 aprile 1978) spiegò ciò che esattamente si stava facendo in Rendena e confutò, punto per punto, le affermazioni di Italia Nostra sui tempi e la pericolosità dell’eventuale miniera. Ormai però non erano più in discussione i fatti, ma il problema era diventato politico, ossia la scelta antinucleare per parte ambientalista e la volontà da parte della popolazione della Rendena di avere garanzie sulla salvaguardia della valle. “La Rendena vuol sapere quali misure sono state prese per difendere la valle prima che l’uranio venga trovato”, commentò il giornalista Franco de Battaglia sull’Alto Adige del 29 aprile 1978, giorno in cui si svolse un incontro a Spiazzo Rendena del presidente Grigolli con la popolazione. Fu una riunione tumultuosa e senza dialogo: in quella occasione la Rendena disse di no all’uranio ed a prenderne consapevolezza fu anche la DC che dopo qualche giorno (Alto Adige, 5 maggio 1978) presentò in Consiglio provinciale una mozione per “armonizzare l’utilizzo di eventuali materiali uraniferi con le esigenze espresse dalla Rendena”. In sostanza fu questo lo stop a qualsiasi ipotesi di escavazione dell’uranio. Dopo schermaglie procedurali e l’arrivo di folte delegazioni di rendenesi a Trento, il blocco alle ricerche di materiale radioattivo venne approvato dal Consiglio il 6 giugno 1978, seguito poi (Alto Adige, 9 giugno 1978) dalla revoca da parte della Giunta provinciale delle concessioni di ricerca a suo tempo assegnate all’Agip. Prima di quella decisione però vi furono anche due sabotaggi. Furono tagliati i cavi di comando (Alto Adige, 7 maggio 1978) dell’elicottero utilizzato per i collegamenti tra il fondovalle e le piazzole di ricerca e (Alto Adige, 10 giugno 1978) fu danneggiata la pompa che riforniva di acqua il punto di ricerca in valle di Manez a monte di Ragoli.
Contro la revoca della concessione l’Agip presentò ricorso al Consiglio di Stato il quale, cinque anni dopo, nell’agosto del 1983, sentenziò (l’Adige, 5 agosto 1983) che l’annullamento era stato illegittimo. L’Agip quindi avrebbe potuto riprendere le perforazioni, ma l’allora presidente della Provincia Flavio Mengoni (1929-2013) mantenne la revoca.
Il presidente della Provincia di Trento, Giorgio Grigolli (1927-2016), da solo, sul palco del teatro a Spiazzo Rendena, in una drammatica immagine fissata dal fotoreporter Nereo Pederzolli. Era il 29 aprile 1978. La popolazione, infuriata, gli tirò addosso tutti i “libretti verdi” che la Provincia aveva fatto stampare per illustrare il progetto di Agip mineraria nella ricerca dell’uranio che, a dire di quella pubblicazione, era conveniente e non aveva controindicazioni per l’ambiente. Il disastro di Chernobyl si sarebbe avuto esattamente otto anni dopo: il 26 aprile 1986.
1 commento
Complimenti ricordo molto bene tutta la storia ho i capelli grigi ……importante ricordarla
Proprio ora dove e sempre piu attuale ……..IL NOSTRO PIANETA