Dopo essere tornato in cattedra (sia pure in DAD, didattica a distanza) alla vigilia dei suoi 101 anni (li compirà il 19 giugno prossimo) Mario Antolini “Musòn”, insegnante di Tione, ricorda i propri insegnanti delle scuole elementari (1926-1932). Il Trentino era appena stato annesso all’Italia, dopo un secolo di dominazione austriaca e otto secoli di Principato dell’impero germanico. La scuola risentiva ancora dell’impostazione “asburgica” e della tradizione scolastica di Maria Teresa d’Austria (1717-1780) che aveva governato l’impero per ben quarant’anni.
L’aver avuto la gioia di riassaporare la soddisfazione, ancora una volta, di poter “far scuola” mi ha riportato ai miei anni delle scuole Elementari (1926-30) e mi è nata spontanea una gran voglia di ricordare, quasi come un “omaggio”, la mia maestra e il mio maestro delle Elementari. Erano insegnanti severi ma capaci, mentre la loro attività didattica era impostata sulla disciplina non solo a scuola o in casa, ma pure per strada e specialmente in famiglia. L’anno scolastico durava dal 1° ottobre al 30 giugno; le ore di scuola, tutti i giorni dalle 8 alle 11 e dalle 14 alle 16, col giovedì riservato alla vacanza; ogni lezione aveva la durata di 60 minuti (solo 10 minuti di ricreazione alle 10). Le vacanze di un solo giorno si avevano nei giorni festivi (religiosi e civili) mentre erano brevissime le vacanze di Natale e Pasqua. Le classi erano assai numerose anche con 40 e più alunni; si aveva un solo insegnante per tutte le “materie” del programma; nei paesi piccoli c’era anche un solo insegnante, o al massimo due, per tutte le cinque classi elementari più la 6.a, la 7.a e l’8.a (detta la post-elementare) dato l’obbligo della frequenza fino a 14 anni. Dove un solo insegnante aveva più classi insieme si avevano le “pluriclassi” (come anch’io ho avuto, per vari anni, insieme la terza, la quarta e la quinta più qualche alunno dagli 11 ai 14 anni). Soltanto nei centri più numerosi (come Tione, il mio paese) si avevano classi singole con maestre e maestri in ciascuna classe. Io ebbi questa fortuna.
Dalla 1.a Elementare alla 4.a ebbi la maestra Amalia Galeotti. Era di Mantova, per cui era giunta in Trentino poco dopo l’annessione al Regno d’Italia nel 1918. A scuola non si percepiva che non fosse del luogo, tutti gli insegnanti li sentivamo allo stesso livello e non si evidenziava l’essere stati, noi trentini, fino a pochi anni prima cittadini austroungarici; soltanto in seguito ce ne rendemmo conto. La mia maestra si trovò con una classe di oltre una quarantina di alunni, ma non soltanto della classe del 1920, bensì pure con tanti altri alunni più “anziani” perché in quegli anni vigeva sistematicamente l’abitudine delle bocciature (con la ripetizione di una classe anche per più annate) per cui in ogni classe i “ripetenti” costituivano una buona fetta dei presenti tra i banchi e, in un certo senso, “tubavano” la compattezza dei coetanei dei frequentanti regolari. Fra i più grandicelli vi erano anche dei monelli maleducati che misero in croce, parecchie volte, la maestra e la fecero pure piangere. Io, dalla mia maestra, fui sempre affascinato; si diceva che ne ero il “coccolo”; certamente mi sentivo a lei molto legato e mi piaceva anche andarle incontro quando giungeva a scuola a piedi (a quel tempo non c’erano ancora automobili in giro). Tuttavia, nei miei riguardi, lei non ha mai dimostrato alcuna “preferenza”, per cui i miei compagni e compagne non hanno mai avuto alcunché da rimproverare né a lei né a me. Delle sue lezioni non ricordo nulla, se non una dispensa a penna, matita e colori, sulle strade e le lapidi di Tione. Indelebili, invece, i suoi atteggiamenti e comportamenti, la sua dedizione, il suo rapportarsi con noi tutti e tutte con amorevolezza, dedizione e pazienza. Nell’aver dovuto fare a mia volta l’insegnante, mi ha lasciato la traccia sul come si può e si deve “fare scuola”. La “mia maestra” me la sento ancora in cuore; non mi ha mai più lasciato.
In quel periodo era ancora in vigore la legge austroungarica. Nelle scuole, nelle quali vi erano due o più insegnanti, era obbligatoria la presenza di “insegnanti femmine” e di “insegnanti maschi”, poiché si presumeva che l’eduzione delle nuove generazioni (come sarebbe naturale) deve e dovrebbe avvenire attraverso l’influenza di personale maschile e femminile. Pertanto, anch’io, ultimati i quattro anni con la maestra, per la frequenza della quinta classe sono passato nella classe allora affidata al maestro Placido Zamboni: figura tionese di alto prestigio sociale e di qualificata professionalità. Era già una persona in età, di formazione asburgica (e sull’esemplare e rigida formazione cristiana), basata sull’ordine, sulla disciplina, sull’osservanza del dovere, sull’obbedienza senza mai deflettere. Anche la quinta era una classe piuttosto numerosa, ma senza che i monelli trovassero spazio per disordini e monellerie. Col maestro Placido non si doveva e non si poteva scherzare: soltanto studiare e studiare sodo. Era un insegnante assai autonomo e si prendeva persino la responsabile libertà – per esempio con me e con i migliori nello studio, ossia i più facilitati che finivano prima degli altri i compiti in classe – di mandarci per i campi e i prati alla periferia del paese, da soli, in cerca di farfalle e di insetti per allestire il “museo ambientale” con cui arricchire la scuola. Un progetto che riuscì a compiere seguendo questa impostazione: lui a dirigere e i suoi scolari e scolare a diventarne gli artefici, anche con l’allestimento delle raccolte di esemplari della fauna e della flora e con cartelloni di cui io divenni (almeno per un anno) anche un esperto. Fu un anno di intenso impegno, sia in relazione alla pura “istruzione” come pure nella “formazione” di uomini e di donne tutti e tutte d’un pezzo. Quanti altri particolari si potrebbero aggiungere per un insegnante così attivo, preciso e impegnato; mi rincresce di non essere riuscito a stenderne la biografia: l’avrebbe davvero meritata. Qualcuno ci penserà con le poche testimonianze che restano a disposizione?
Queste righe in ricordo di persone esemplari e a me care. Mi corre l’obbligo di ricordare che, ultimate le Scuole Elementari a Tione (ex territorio austroungarico e a volte personalmente disprezzato perché considerato “tugnìt/tedesco) mi sono trovato in collegio a Milano e in Piemonte e poi perfino a Tokyo e a Napoli sempre senza alcuna difficoltà nel campo dello studio. Ormai le basi mi erano solide; ed avevo solo dieci anni. Infatti, le nozioni ricevute alle Elementari dalla maestra Amalia e dal maestro Placido erano risultate sufficienti per il mio procedere nel cammino degli studi. Non ho mai potuto sondare e conoscere come avessero fatto quei miei due amati e venerati insegnanti, con classi così numerose ed eterogenee, a farmi indossare un così completo bagaglio di viaggio.
Che il mio riconoscente ricordo li possa raggiungere dove ora mi auguro stiano ricevendo e godendo il premio del loro essersi generosamente donati anche alla mia persona.