Quando usciremo, perché prima o poi usciremo da quest’incubo che dura dalla fine di febbraio del 2020, conteremo le vittime dirette. Tante, troppe, un numero spaventoso. Ma dovremo fare i conti con gli effetti e i danni collaterali. Oltre l’economia, che sarà una parte importante del problema, la sanità dovrà nuovamente rimboccarsi le maniche e andare a cercare i giovani, i ragazzi, usciti a pezzi dalle chiusure e dai divieti. Dopo un anno di mancati contatti sociali, con la scuola in Dad, che sta per “didattica a distanza”, il disagio giovanile è rimasto faticosamente sotto traccia. Nello sgretolamento quotidiano delle certezze comincia a deflagrare qua e là. La cronaca segnala, ma (doverosamente) non porta in prima pagina, notizie di un diffuso “mal del vivere” che sta dilagando. Quasi un contrappasso al troppo peso della paura, di un ignoto che la pandemia ha dilatato oltre ogni immaginazione. La paura della morte fa morire di paura.
Non ci saranno quest’anno le foto di gruppo di “fine anno scolastico”, sprizzanti soddisfazione e gioia per la fine di un anno di scuola, di impegno, di amicizia, di amori sbocciati o di simpatie magari sfiorite ancora in bocciolo. Tutto rimane in una crisalide senza sfarfallamento. Niente gite scolastiche che sarebbero rimaste indimenticate sino alla vecchiaia, niente “gavettoni” da fine naja. Solo la noia della Dad che resta un acronimo da dimenticare. Lezioni a distanza, in solitudine, davanti allo schermo di un computer, mentre tutt’attorno si sfarinava l’inverno, sbocciava la primavera e la didattica in presenza si sbriciolava giorno dopo giorno, di rinvio in rinvio. In questo deserto dei sentimenti, del contatto di pelle, del sorriso cancellato da una mascherina, dell’identità nascosta da uno “chador” imposto dalla pandemia, sono cresciute la solitudine, la paura, l’emarginazione.
Con le quali ci dovremo rapidamente confrontare. Noi adulti con i giovani, loro con i coetanei. La società tutta con sé stessa.
I neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza segnalano in queste settimane l’aumento di ansia, disturbi del sonno, stress e autolesionismo fra gli adolescenti, compresi tentativi di suicidio. Qualcuno, ahinoi, andato a segno.
Un’indagine del Cesvot (Centro servizi volontariato della Toscana) , come scrive Silvia Trovato, ha rilevato che il 90% dei giovani dai 18 ai 29 anni lamenta un “crescente senso di solitudine percepito tra gli impatti psicologici della pandemia”.
Solitudine registrata anche da un’inchiesta della Doxa per “Telefono Azzurro” con i genitori preoccupati dalle condizioni di isolamento vissute nei mesi di lockdown della scuola dai figli adolescenti e pure dai più piccoli. Sono aumentati i disturbi psicologici, le difficoltà relazionali, le denunce di abusi e violenza.
Risparmiati dal contagio diretto del Covid-19, i minori sono stati ghermiti da un’epidemia altrettanto invisibile quanto devastante. Con l’aggravante che per questo “mal di vivere” non sono alle viste i vaccini.