Nonostante lo scorrere degli anni, il 25 aprile è importante perché ogni resistenza ha in sé una componente pasquale di resurrezione.
Resistere significa infatti tentare di risorgere davanti all’oppressione delle più diverse ed eterogenee declinazioni dell’autoritarismo: dalle dittature nazifasciste di allora, a quelle “molli” delle attuali esperienze dei governi populisti esteuropei o a quelle più palesi e “dure” della repressione, esercitata ad Ankara come a Pechino, a fronte di un dissenso che, piaccia o meno, rimane comunque il sale vero delle democrazie, per quanto imperfette e claudicanti esse siano.
Ma importante questo giorno lo è anche perché sul suo senso e sul suo significato si fonda la narrazione stessa della democrazia repubblicana.
Certamente il rito, come tutte le ricorrenze celebrative, rischia di esaurirsi nella stanca ripetizione di copioni già visti. Molti si dichiarano stufi; chiedono di equiparare le memorie e le identità; mostrano insofferenza ed affermano che la storia di ieri va lasciata fra la polvere dei libri, per non disturbare il quotidiano evolversi della società. Tutte le attenzioni si proiettano insomma verso un presente continuo ed immanente; privo di ieri e carente di domani e, spesso, immolato sull’effimero altare massmediatico, transitato dal suo ruolo naturale di strumento di dialogo a valore essenziale dell’individuo.
Così, il passato viene archiviato, non essendo più avvertito come essenziale per il futuro o reputando insufficiente il suo ingombro etico di fronte a quel dilagare di prepotenze, menzogne, volgarità e sconcezze ideologiche che lambisce i sofferenti giorni del nostro presente.
Unitamente ad altre memorie, anche la Resistenza viene messa in soffitta, riponendola accanto alle scolorite figurine del presepe, alle bambole rotte di celluloide ed al “Meccano”, cancellando in tal modo storie e drammi essenziali e alimentando i rischi di quelle derive di smemoratezza che appannano il senso profondo della dignità dell’essere umano e della sua irrinunciabile libertà.
Abbandonare, scordare, tralasciare e minimizzare sono, in realtà, solo stupide tentazioni per giustificare una preoccupante pigrizia culturale ed etica, che pare ormai cifra troppo frequente di questo tempo. Si tratta di una pigrizia che dimentica l’esistenza di un’altra Italia, quella della solidarietà, del pane spezzato, del volontariato e della tolleranza, da opporre al ribollire delle propagande ideologiche, del malaffare corruttivo, del razzismo xenofobo e dei sovranismi di convenienza, un’Italia cioè alla quale affidare il domani di tutti.
La Resistenza – pur con le sue contraddizioni, la diversità delle sue anime, i suoi molti eroismi ed anche i suoi misfatti – rimane insomma una chiamata alla luce, dopo la tragica oscurità del “ventennio” ed un impegno sempre attuale per rendere impossibile un ritorno, in qualunque forma, del silenzio forzato, della discriminazione, della violenza e della paura. Il 25 aprile rappresenta l’alba di una nuova speranza, capace di chiudere le troppe notti di ogni ragione.