Venerdì 12 febbraio 2021. Il telefono sul comodino suona. All’altro capo c’è Gianni, un amico prima di tutto, ma poi il cineoperatore con il quale ho lavorato per molti anni nella realizzazione di filmati e documentari.
“Dove sei?”, mi chiede. “Dove vuoi che sia? Nel letto del Pronto soccorso Covid dell’ospedale di Tione”. “Aspettami, che arrivo anch’io”, è l’annuncio. Lo sapevo, e quindi lo aspettavo. Infatti c’è un dato curioso da raccontare: ci siamo infettati insieme. Dove? Solo Dio lo sa. Abbiamo passato il pomeriggio di sabato 30 gennaio in un garage a catalogare dischi e musica classica. Garage freddo, freddissimo. Tant’è che di notte mi è salita la febbre. È salita anche a Gianni: entrambi a casa per dieci giorni, poi entrambi all’ospedale.
E così qualche ora dopola telefonata vedo entrare in camera il mio amico Gianni. Siamo in due, con due compagne poco simpatiche: febbre e tosse. Staremo insieme per quattro giorni, poi i nostri destini prenderanno strade diverse: io vengo mandato a casa con tampone negativo; Gianni rimarrà ancora un paio di settimane, prima nel Pronto soccorso, poi nella vicina Rsao di Tione, destinata dalla Giunta provinciale ad ospitare i malati del Coronavirus in attesa di guarigione.
Covid-19. Non si può essere originali a parlarne: con tutta probabilità se mettessimo in fila tutte le pagine di quotidiani, libri e riviste potremmo coprire la circonferenza del mondo. E allora che cosa dire per non ripetere cose già dette?
Raccontare la nostra esperienza? Per volontà di Gianni, lo abbiamo fatto con un video messo suYoutube. Siamo fra coloro ai quali è andata bene. A me in particolare, mentre a Gianni ha dato qualche sofferenza in più. Molta sofferenza in più, precisa lui, ché quando dico “qualche” si arrabbia. In effetti ha temuto di essere spedito in un reparto di terapia intensiva, tanto era sofferente. A un certo punto gli hanno portato perfino una sedia, in modo che, di notte, non fosse costretto a sdraiarsi. Con un risultato inevitabile: non dormiva per non tossire. Quando la situazione era in via di lieve miglioramento è stato trasferito nella Rsao, dove (complice – quel che va detto va detto – un signorile trattamento alberghiero) gli è tornata la voglia di sorridere. E da cosa l’ho capito? Naturalmente ci telefonavamo tutti i giorni. “Come va?”. “Male! Tosse!”. Poi, un giorno: “Stamattina mi sono messo a fare riprese. Ho intervistato le infermiere. Bisogna fare un filmato per raccontare la nostra esperienza e l’esperienza di chi opera per i malati”.
Prima reazione mia: “Bene. Ti è tornata la voglia di vivere. Benissimo. Mi sembra una bella idea parlare di chi si prende cura dei malati. A colpirmi è stata la dedizione,ne hanno scritto e parlato tutti, con cui lavorano. Ma direi che un’altra dote mi è entrata nel cuore. Una dote che può apparire secondaria, ma per me è importante: la semplicità dell’approccio con noi malati”.
Tutto questo ho risposto a Gianni, il quale, di rimando, è sbottato: “Bon, preparati a scrivere il testo. Ti mando le interviste via WhatsApp”.
Così è nato il filmato: tredici minuti di racconto. A margine va sottolineato che a Tioneesiste un ospedale caro alla comunità ma depauperato negli ultimi anni per la scomparsa del punto nascite e per le promesse mancate rispetto ad una sorta di indennizzo proprio per la sparizione del reparto maternità.Nella prima ondata della pandemia,chirurgia ed ortopedia erano stati trasformati in reparti Covid. In autunno la situazione è tornata, se non proprio normale, certo meno complessa, perciò i reparti sono stati riportati alla loro attività ordinaria.Per contro è stato allestito un pronto soccorso Covid con quattro stanze a due letti. Nella stanza “numero uno” ci siamo trovati noi due, tra flebo di cortisone e antibiotici, misurazioni di parametri (temperatura e pressione), prelievi e un’accoglienza,mi ripeto,fatta di semplicità e di cordialità. Anche queste medicine “umane”,sia detto senza retorica,offrono il loro contributo alla guarigione.
Covid: la storia privata di due amici in ospedale
In un anno l’infezione da Covid-19 ha contagiato in Trentino 40.095 persone (alla data del 23 marzo 2021). Di questi: 1.326 sono le vittime, la maggior parte delle quali morte da sole, nelle rianimazioni o nei reparti Covid degli ospedali. Lontano dagli affetti, accuditi da personale sfinito dai turni massacranti e dalla paura del contagio. Chi è riuscito a superare la crisi e a tornare a casa, rammenta “quei giorni in ospedale” come tempo di abnegazione e di umanità.
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Giuliano Beltrami
È nato 66 anni fa a Storo, dove vive in frazione Darzo. Laureato in lettere, ha insegnato per anni alla scuola media, prima di licenziarsi per dirigere Cooperative sociali. È entrato nel mondo del giornalismo negli anni ’80, prima scrivendo per la rivista Questotrentino, poi per la redazione trentina del Gazzettino di Venezia, infine, dal 1988 a tutt’oggi, per il quotidiano L’Adige.